Il Perdono

Matteo 18,21-35Mt 6:12, 14-15; Ef 4:32; 5:1-2; Gm 2:13
21 Allora Pietro si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?» 22 E Gesù a lui: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

Dall’odio al perdono

L’odio, la causa di tanti problemi

L’odio è una realtà nefasta che distrugge la vita di molte persone. Sembra naturale odiare; sembra l’unica risposta plausibile e pertinente a chi ci ha ferito, deluso o maltrattato. Sembra risolutivo a ogni problema e invece è la causa di tanti problemi. Quando una persona mi ferisce penso che odiare sia naturale. Ma è veramente così? Se fosse naturale dovrei stare bene, ma sto veramente bene?

No! Si sta male, molto male quando si odia. Il dolore che si prova quando si odia attualizza la ferita subita, la quale fa aumentare l’odio e, quindi, come in un circolo vizioso, fa allargare l’esperienza negativa in ogni ambito dell’esistenza della persona che odia.

In questo processo il maligno ha una parte importante. Lui, che è padre della menzogna, farà in modo di farci credere che il nostro odio è giustificato, necessario, indispensabile. Alimentando queste idee ci farà credere che staremo meglio solo a una condizione: se odieremo e ci vendicheremo. Se però cadiamo in questa trappola non solo non staremo meglio, ma gli permetteremo di influenzare la nostra vita distruggendola a poco a poco.

L’odio è la porta maestra attraverso cui il maligno entra e detta le sue leggi, che sono leggi di morte e di autodistruzione. A più persone che fanno un cammino di fede ha fatto credere che quell’odio che provano era giusto.

Un altro problema è eludere il problema, cioè pensare che in fondo non odiamo! Ma come fare a riconoscere l’odio dentro di noi? Quando comincio ad avere avversione per una persona, quando pensandola provo fastidio, quando vedendola sto male, quando ne parlo male, quando la insulto, quando le auguro o le faccio del male, tutte queste situazioni sono inerenti alla stessa realtà che si chiama odio, sebbene lo si provi in diversi gradi: infatti, anche provare indifferenza verso qualcuno è sinonimo di odio; in questo caso si tratta di odio “congelato”, ma pur sempre odio.

È importante sapere questo, perché spesso noi pensiamo che l’odio sia solo fare del male a una persona e “siccome io non faccio male a nessuno” non odio. In realtà ci sono vari livelli di odio che vanno dall’indifferenza alla vendetta esplicita (perché ce ne può essere anche una implicita, ma altrettanto reale).

La questione è presentata chiaramente da Gesù, lui che è il più grande e insuperabile psicologo di tutti i tempi:una persona o si ama o si odia; la terza via non esiste. Per questo il Signore ci dice:”Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano” (Lc 6,27) non dice in nessuna parte di essere indifferenti.

Un’altra idea menzognera è pensare che quella persona non la potremo mai perdonare: “Non ci riesco e quindi non posso non odiare” è il ritornello di tanti!

Dal disprezzo di sé all’accettazione di sé

Spesso si vive non nell’accettazione, ma nel disprezzo di sé. Molti sono i sintomi: la rabbia verso se stessi; il non accettarsi così come si è e, quindi, il voler essere diversi fisicamente, emotivamente, fino a odiarsi profondamente.

Spesso il disprezzo di sé viene confuso con l’umiltà e quindi considerato come una virtù, ma in realtà non è altro che un perturbamento della propria personalità che non provoca altro che problemi.

Una pessima considerazione di noi stessi, infatti, ci rende incapaci sia di accettarci così come siamo sia di accettare gli altri. Questa rabbia rivolta verso la propria persona, infatti, si ripercuote anche nel rapporto con gli altri. Chi si disprezza, avendo tanto astio, rancore e risentimento verso di sé, riversa questi sentimenti sugli altri.

Tratto dal libro “Gesù guarisce il tuo cuore” di Salvatore Tumino, Edizioni Rinnovamento nello Spirito Santo.

Bisogna allora cambiare modo di relazionarci con noi stessi. Ma da dove bisogna iniziare? Qual è il fondamento dell’accettazione di sé?

 

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